martedì 20 luglio 2010

E come non condividere


Da il CdT
CASO POLANSKI: UNA DECISIONE UMILIANTE

ARMANDO DADÒ *

S
ul «Washington Post», Eugene Robinson ne ricorda con precisione i fatti. Il regista Po lanski, che allora aveva 43 anni, attirò con l'astuzia una ragazzina tredicenne nella villa di Jack Nicholson sulle colline di Hollywood: qui la costrinse a trangugiare droga e champagne per poi violentarla. I fatti sono chiari e non conte stati da nessuno. Il regista dichiarò che comun que si sentiva un perseguitato, perché «tutti vor rebbero avere rapporti con le ragazzine». Quin di si diede alla fuga all'estero e trascorse il suo tempo, soprattutto in Francia, protetto, omag giato e decorato come grande artista. In quegli anni, sotto la spinta di Mitterrand, la Francia si era data da fare per ospitare e proteg gere delinquenti di vario tipo. Basti pensare a quel Cesare Battisti, autore di tre omicidi, ora in Brasile, non ancora consegnato alla giustizia del suo paese. D'altro canto buona parte dell'intel lighentsia tendeva a giustificare e a difendere i pedofili: chi non ricorda il blasonato J. P. Sartre e tutta la sua corte di adoratori, amici, simpa tizzanti e illusi? Resta il fatto che il Polanski si installò in Europa, continuò a fare film e costruì uno châlet a Gstaad, omaggiato in occasione di tutti i festival e riverito alla grande, mentre si chiusero gli occhi (Svizzera compresa) di fronte ai suoi crimini. Gli occhi furono sorprendentemente riaperti l'an no scorso, quando il regista fu arrestato duran te la consegna di un premio e fu tradotto nelle
carceri di Zurigo. Successiva mente gli fu concesso di ri tornare nel suo châlet, con un anello legato alla caviglia per impedirne la fuga. Di fronte alla giustizia ameri cana che ne chiedeva il rim patrio, Berna rinviò la deci sione di mese in mese, fino alla sorprendente dichiara­zione degli scorsi giorni, di Evelyn Wydmer-Schlumpf, in cui comunicava che il Governo si rifiutava di consegnare il Polanski alla giustizia, gli toglieva l'anello e lo lasciava uccel di bosco.
La notizia, sbalorditiva, ha suscitato l'entusia smo di tutti i pedofili del mondo, i simpatizzan ti o presunti tali, a cominciare ovviamente da quel Mitterrand junior ora al dicastero della cul tura di Parigi. Ma il gaudio si è esteso a macchia d'olio, da Cohn Bendit fino alla Kopp. Natural mente ha esultato l'ex direttore del Festival di Lo carno Fréderic Maire (in che mani eravamo!) e attuale direttore della Cineteca svizzera, che ha gridato ai quattro venti: «La Svizzera ne esce al la grande».
Non parliamo poi di quella specie di filosofo fran cese che imperversa sui media di mezzo mondo, il super prezzolato Bernard Henry Lévy, il qua le, in un crescendo di entusiasmo, giunto allo ze nit dichiara: «Sono pazzo di gioia». In verità,
sulla pazzia afferma un'ovvietà, su cui erano ri masti in pochi a dubitare. Sulle ragioni della fol lia, potranno esprimersi gli specialisti del ramo. Ma, conoscendo più o meno tutto quel mondo, queste dichiarazioni sono in un certo modo qua si scontate.
Il fatto nuovo (se così è permesso dire) è l'artico lo di Franco Masoni pubblicato in prima pagi na sul «Corriere del Ticino», dal titolo solenne:
Un atto di sovranità . Masoni non entra nel me rito del delitto, per l'occasione parla riduttiva mente di «rimproveri», tira in ballo procedure legali, afferma di non essere antiamericano, con tinua dicendo che l'estrazione deve essere un at to di sovranità, ricorda suoi interventi a Berna, si felicita con una nazione non «ottusamente bu rocratica: ciò che il nostro paese cerca di non es sere». Deplora infine le circostanze dell'arresto: quasi che le modalità dovessero essere decise da gli ammanettati. Per concludere, si felicita con il Consiglio federale, che avrebbe saputo corregge re il tiro.
Non avrò ovviamente l'ardire di discutere di pro cedure e legalità con l'avv. Franco Masoni: sa rebbe un duello ridicolo fra un gigante e un lil lipuziano. Ma vorrei comunque esprimere, da cittadino di questo paese, un totale dissenso dal le argomentazioni dell'illustre senatore emerito. A me sembra che, dopo tutto quello che abbia mo visto passare sotto gli occhi in questi ultimi anni, dallo scandalo UBS, a quello della Swis
sair, alla vicenda Gheddafi, ai furti milionari presso le grandi società finanziarie, ai delitti ri soltisi con l'assoluzione e con la prescrizione e anche con l'indennità, per non parlare d'altro, questa ultima umiliazione il Consiglio federale ce la poteva risparmiare. La realtà è che la Sviz zera si è rifiutata di collaborare con la giustizia americana, la quale (non la Svizzera) avrebbe dovuto giudicare il proprio cittadino, per delitti commessi negli USA.
Quali sono le ragioni vere per cui il Governo, do po molto tergiversare, si sia piegato miserevolmen te all'ingiustizia, difficile dire. Secondo le spiega zioni fornite, non vi era la certezza assoluta che ci fossero tutte le carte necessarie: la dichiarazio ne è stata fatta dalla ministra, senza arrossire. Quello che forse molti hanno capito è che que sto Governo necessita di cambiamenti e di aria fresca. È oramai ora che si pensi alle grandi pu lizie. Sono diversi i consiglieri federali a cui è sug geribile una (più o meno meritata) ma comun que sempre solida pensione. E fra questi, la Eve lyne Widmer-Schlumpf potrebbe cominciare a far le valigie e a ritornare a qualche buona lettura nel suo Grigioni. Dopo quest'ultima umiliazio ne, sembra veramente giunta l'ora che in Gover no arrivi una boccata d'ossigeno. Soprattutto in questi giorni di canicola, se ne sente un gran bi sogno.
* editore

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