mercoledì 16 novembre 2011

Non c'é più speranza per l'euro

Gli effetti benefici del Governo Mario Monti sui mercati finanziari sono durati solo due giorni. Per la moneta unica europea ormai i giorni sono contati. La fine dell’agonia dell’euro con l’uscita dei Paesi  forti non segnerà affatto la fine della crisi finanziaria, ma solo di una sua fase. E intanto cominciano – come molti temevano – a risuonare le cannoniere con un’escalation preoccupante della tensione in Medio Oriente e con un possibile attacco militare all’Iran che potrebbe condurre ad una nuova guerra fredda. Ma procediamo con ordine.


Il Governo Monti avrebbe dovuto allentare la tensione sui titoli di Stato italiani. Ma l’andamento dei mercati in questi primi giorni della settimana ha annullato la riduzione dei tassi e il restringimento del differenziale con le obbligazioni tedesche registrati giovedì e venerdì scorsi. Quindi il principale effetto positivo dell’annuncio della formazione del Governo del professore dell’Università Bocconi è già stato annullato. Il motivo è molto semplice: il presidente della Bundesbank, ossia della banca centrale tedesca, Jens Weidmann, ha ribadito il “Nein” di Berlino a qualsiasi monetizzazione del debito pubblico dei Paesi deboli dell’Europa, deludendo coloro che avevano nutrito la speranza che la formazione di due Governi allineati con la politica di rigore avrebbero permesso di aggirare il veto tedesco a mettere in movimento la zecca della Banca centrale europea per acquistare illimitatamente i titoli statali dei Paesi deboli eliminando il rischio di una loro insolvenza.

Il no tedesco ad un intervento della Bce ha reso immediatamente concreta la possibilità che anche per il debito portoghese, irlandese, spagnolo ed italiano si giungerà (nel migliore dei casi) ben presto ad una ristrutturazione simile a quella già in corso con i titoli di Stato greci. La conseguenza immediata è stata ovvia: le banche si sono messe a vendere i titoli statali italiani, spagnoli, portoghesi ed irlandesi. In pratica, si è trattato di un secondo incentivo a disfarsi di queste obbligazioni. Il primo – come abbiamo già scritto – è stata la decisione di contabilizzarli a prezzi di mercato per calcolare le necessità di ricapitalizzazione delle banche europee (vedi blog precedenti). E’ pure ovvio che la svendita di questi  titoli ha ulteriormente incrinato la fiducia anche nei titoli francesi, belgi ed austriaci, ossia dei Paesi che sono candidati a seguire le orme di Grecia ed Italia.

Dunque sta franando l’intero castello su cui è costruita Eurolandia. Ed è pure chiaro che il no tedesco non è casuale. E’ sempre più evidente che la Germania è pronta ad abbandonare l’euro e che questa clamorosa decisione, che non può essere preannunciata, potrebbe avvenire già nelle prossime settimane. Infatti l’approfondirsi della crisi italiana e spagnola e il contagio dei titoli di Francia, Austria e Belgio dimostrano che l’intero Sistema monetario europeo è sull’orlo del collasso. Il momento delle grandi decisioni non può essere ancora rinviato a lungo, poiché ogni rinvio implica costi nettamente maggiori e soprattutto il rischio del collasso di qualche istituzione finanziaria che potrebbe trasformare la fine dell’euro nell’attuale forma e composizione in una tragedia incontrollata dalle conseguenze difficilmente immaginabili. Dunque, i tempi sono stretti e molto probabilmente nelle prossime settimane assisteremo alla decisione della Germamnia di abbandonare l’euro.

La spaccatura ordinata dell’euro attraverso l’uscita della Germania e di altri Paesi forti sarà meno traumatica di quanto tutti prevedono. Infatti si costituirà un’area monetaria attorno al nuovo marco tedesco, cui si aggancerà anche la Svizzera. Dall’altra parte, vi sarà il vecchio euro che si svaluterà sensibilmente e  che potrà contare sulla Banca centrale diretta dall’italiano Mario Draghi, che stamperà moneta per aiutare i Paesi in difficoltà comprandone i titoli di Stato. In pratica, questo euro assomiglierà alla vecchia lira italiana e sarà un’area ad alta inflazione. L’area debole dell’Europa correrà però il pericolo di nojn riuscire a finanziarsi sui mercati internazionali e quindi di ricorrere in modo eccessivo alla stampa di nuova moneta che potrebbe portare addirittura all’iperinflazione e a crisi simili a quelle che hanno vissuto in passato alcuni Paesi dell’America Latina.

Quindi, questo sbocco della crisi potrebbe risultare molto meno drammatico di quanto molti prevedano. La fine della crisi dell’euro non segnerà però la fine della crisi finanziaria. Le difficoltà dell’euro sono state infatti solo un episodio della crisi, che ci porterà ad una nuova e più difficile fase. Anzi, la crisi dell’euro è servita a distogliere l’attenzione dai gravi problemi degli Stati Uniti (che hanno deficit e debito pubblici superiori a quelli del complesso di Eurolandia), dall’intrinseca fragilità del dollaro e dallo stato comatoso del sistema finanziario internazionale. Infatti la montagna di titoli tossici (si calcola che superino i 4'500 miliardi di dollari) ancora nascosti  soprattutto nei bilanci delle banche americane (le banche europee detengono ancora circa 400 miliardi di euro di titoli tossici), di derivati, di prodotti strutturati e, di titoli in cui sono impacchettati crediti inesigibili fanno sì che il sistema bancario internazionale continua ad essere sull’orlo del baratro. La fine dell’euro potrebbe essere il detonatore di una crisi in ogni caso ineludibile. Il collasso di questo sistema è oramai ineludibile.

Per questi motivi è bene non sottovalutare i recenti rumori di guerra. In un contesto del genere non vi sarebbe nulla di meglio di un conflitto militare. E’ quindi preoccupante l’escalation della tensione nel Medio Oriente. Preoccupa soprattutto il clima che si sta creando attorno a Siria ed Iran. L’Iran è un Paese di grande importanza strategica. Teheran può contare sul sostegno di molti Paesi importanti, che sono Russia, Cina, India e Turchia. Un attacco militare all’Iran potrebbe scatenare una crisi dalle conseguenze gravissime, come quella di farci ripiomba Tinews

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