Ci volevano i Big per accorgersi che il territorio é diventato invivibile
e che i forestieri cominciano a fuggire, lo abbiamo gridato noi lo ha detto Ratti in diversi articoli e ora arrivano i pezzi da novanta. Magari si sveglieranno anche le autorità ,ma sarà comunque sempre troppo tardi .
Sos di Botta, forza e coraggio
di Matteo Caratti
Ho letto con interesse l’intervento critico di Mario Botta sul ‘Beton boom’ in Ticino (cfr. ‘laRegione’ di ieri). Fa riflettere che l’architetto abbia scelto di pubblicare la sua forte riflessione sulla ‘Nzz’ (nemo propheta in patria?). Ma ancor più fa pensare il silenzio che già prevediamo seguirà. Un silenzio che andrà a sommarsi ai tanti citus mutis di chi fra i ‘big’ avrebbe potuto denunciare, come ha fatto l’architetto, ma non lo farà, soprattutto per non complicarsi la vita. Cosa si vuole? Come si suol dire, più o meno tutti tengono famiglia. Comunque sia, lo scottante tema
del territorio ticinese sempre rosicchiato e sfregiato da costruzioni sorte in modo disorganico e disordinato, è e sarà una delle emergenze della nostra regione. Un’emergenza per chi qui vive e non ritrova più gli spazi naturali e aggregativi e cresce i propri figli in quartieri senza verde, senza piazze, senza luoghi di svago, e per chi nei panni del turista è stato abituato ad un’immagine del Ticino che fu e che ora lo vede sempre più brutto, invivibile e quindi ci viene sempre meno. Mario Botta ha lanciato un grido di allarme e un grido dal cuore. E ha fatto bene. Anche se i buoi sono ormai usciti dalla stalla. Dalle parole occorre ora passare velocemente ai fatti. Partendo dal basso, perché siamo certi che nella popolazione stessa sia crescente la consapevolezza che in questi anni di euforia edilizia abbiamo superato il livello di guardia. E che il peggio potrebbe ancora venire. Dal pasticciaccio del Pian Scairolo non abbiamo infatti imparato nulla, perché lì come alle porte di Mendrisio o in forma minore, ma comunque crescente, a Camorino, Arbedo e un domani magari anche nei pressi di Biasca o Riazzino, stanno lentamente ma inesorabilmente sorgendo altri Pian Scairolo. Solo colpa del progresso? O piuttosto della mancanza di volontà o di coraggio di chi pianifica? A questo proposito si potrebbe fare e dire di più, ad esempio, anche a livello di Accademia di Architettura: chi più dei petali di questo fiore all’occhiello può far capire all’opinione pubblica dove eravamo, dove siamo e dove potremmo arrivare a seconda delle scelte pianificatorie possibili? Purtroppo le generazioni si susseguono e ciascuna finisce per accettare pressoché passivamente quello che si ritrova sotto gli occhi. Occorre poi anche che il parlamento cantonale si chini sul degrado. Ma è difficile perché gli interessi in gioco sono troppo grossi e i politici, finché le betoniere girano, fanno orecchie da mercante. Eppure siamo convinti che, se un movimento, per salvare il salvabile di quanto resta del paesaggio e quindi della qualità di vita, puntasse in primis sulla salvaguardia totale dei polmoni verdi che ancora (r)esistono, riuscirebbe a raccogliere parecchi consensi. E il polmone principe, lo sanno tutti e lo abbiamo già scritto, è il Piano di Magadino che, fetta dopo fetta finisce sull’altare del dio cemento. Vorrà pur dire qualcosa se, interpellati alle urne, i cittadini tendenzialmente preferiscono non sacrificare più altro territorio alla costruzione di nuove strade, o se hanno detto basta all’edificazione di case secondarie? Forza e coraggio, dunque, reagiamo! E perché non lanciando un’iniziativa popolare proprio per salvare il nostro Piano?
del territorio ticinese sempre rosicchiato e sfregiato da costruzioni sorte in modo disorganico e disordinato, è e sarà una delle emergenze della nostra regione. Un’emergenza per chi qui vive e non ritrova più gli spazi naturali e aggregativi e cresce i propri figli in quartieri senza verde, senza piazze, senza luoghi di svago, e per chi nei panni del turista è stato abituato ad un’immagine del Ticino che fu e che ora lo vede sempre più brutto, invivibile e quindi ci viene sempre meno. Mario Botta ha lanciato un grido di allarme e un grido dal cuore. E ha fatto bene. Anche se i buoi sono ormai usciti dalla stalla. Dalle parole occorre ora passare velocemente ai fatti. Partendo dal basso, perché siamo certi che nella popolazione stessa sia crescente la consapevolezza che in questi anni di euforia edilizia abbiamo superato il livello di guardia. E che il peggio potrebbe ancora venire. Dal pasticciaccio del Pian Scairolo non abbiamo infatti imparato nulla, perché lì come alle porte di Mendrisio o in forma minore, ma comunque crescente, a Camorino, Arbedo e un domani magari anche nei pressi di Biasca o Riazzino, stanno lentamente ma inesorabilmente sorgendo altri Pian Scairolo. Solo colpa del progresso? O piuttosto della mancanza di volontà o di coraggio di chi pianifica? A questo proposito si potrebbe fare e dire di più, ad esempio, anche a livello di Accademia di Architettura: chi più dei petali di questo fiore all’occhiello può far capire all’opinione pubblica dove eravamo, dove siamo e dove potremmo arrivare a seconda delle scelte pianificatorie possibili? Purtroppo le generazioni si susseguono e ciascuna finisce per accettare pressoché passivamente quello che si ritrova sotto gli occhi. Occorre poi anche che il parlamento cantonale si chini sul degrado. Ma è difficile perché gli interessi in gioco sono troppo grossi e i politici, finché le betoniere girano, fanno orecchie da mercante. Eppure siamo convinti che, se un movimento, per salvare il salvabile di quanto resta del paesaggio e quindi della qualità di vita, puntasse in primis sulla salvaguardia totale dei polmoni verdi che ancora (r)esistono, riuscirebbe a raccogliere parecchi consensi. E il polmone principe, lo sanno tutti e lo abbiamo già scritto, è il Piano di Magadino che, fetta dopo fetta finisce sull’altare del dio cemento. Vorrà pur dire qualcosa se, interpellati alle urne, i cittadini tendenzialmente preferiscono non sacrificare più altro territorio alla costruzione di nuove strade, o se hanno detto basta all’edificazione di case secondarie? Forza e coraggio, dunque, reagiamo! E perché non lanciando un’iniziativa popolare proprio per salvare il nostro Piano?
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