E le manda una sfilza di messaggini sul cellulare: «Devi andare in televisione a dire che io non c’entro niente». Mariangela resiste. A chi le chiede com’è andata ripete che lei sa dire soltanto la verità e che la ripeterà sempre: il pomeriggio del 26 agosto è arrivata davanti a casa di Sabrina alle 14.40 e Sabrina l’aspettava per strada, molto agitata. «L’ho detto ai magistrati e non mi stancherò mai di ripeterlo». «Stronza» compare sul display del suo cellulare: è Sabrina che non apprezza. E ancora un sms: «Perché stai dicendo bugie?». Un pressing serrato che non serve a niente. Mariangela non arretra di un passo: «Quello ho visto e quello racconto».
I testi dei messaggi finiscono nel fascicolo dell’inchiesta e con quelli anche le parolecaptate dalle intercettazioni ambientali. Sabrina probabilmente intuisce di essere intercettata, ma non sa trattenersi: commenta quasi sempre le notizie che sente in tivù, soprattutto se riguardano la versione di Mariangela, e lo fa più del solito da quando suo padre inscena il ritrovamento del telefonino di Sarah (il 29 settembre). «Perché ha fatto ritrovare il cellulare? Il giorno prima lo abbiamo toccato tutti quel telefono, ci sono anche le nostre impronte...» sembra abbiano annotato fra le altre cose gli uomini del Ros. Tutto questo pochi giorni fa, quando Sabrina non era ancora stata accusata da suo padre, Michele Misseri, dell’omicidio di Sarah Scazzi. Tre giorni fa la svolta. Misseri, che fino ad allora aveva giurato di aver fatto tutto da solo, rivela: «Sabrina ha trascinato mia nipote Sarah in garage e mentre lei la teneva io la strangolavo. Quando ha visto cadere Sarah Sabrina è scappata via sconvolta, allora io ho caricato Sarah sulla Marbella, l’ho portata in campagna, l’ho violentata e l’ho buttata in un pozzo».
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