le cose brutte che accadono nel mondo accadono non tanto perché ci sono le persone cattive ma perché le persone buone non fanno nulla (Gramsci)

mercoledì 21 settembre 2011

Lutto nell'alpinismo ticinese

In ricordo di Armando Pini
Cassiere e socio fondatore dell'Associazione Amici di Indemini
Il mondo dell'alpinismo ticinse piange la scomparsa di Armando Pini, uno dei più abili
rocciatori ticinesi degli anni Cinquanta-sessanta. Nato nel 1934, abitava a Sant'Antonino
dov'era molto stimato.
La sua "religione" (e la sua palestra di vita) è stata la montagna, di cui
conosceva ogni segreto. Ci vorrebbero fiumi d'inchiostro per ripercorrere - con la penna - i
sentieri, gli anfratti, le cordate, gli speroni di roccia che l'hanno viso protagonista negli anni
della sua giovinezza. Ci limitiamo perciò a ricordare la sua impresa più esaltante, tornando
con la memoria al 14 giugno 1959 quando, in compagnia dell'amico Roger Frusetta di
Acquarossa, conquistò la vetta del Sosto in Valle di Blenio. Prima dei due coraggiosi alpinisti,
altri scalatori di grido (Magistri, Bernasconi, Notari) tentarono l'avventura, ma la montagna si
rivelò invincibile per loro e li costrinse a desistere. Pini (25 anni) e Frusetta 19 anni)
impiegarono due giorni (13 e 14 giugno) per portare a termine un'impresa che ebbe grande
risonanza negli ambienti dell'escursionismo alpinistico. Una "prima" che, dopo la vittoria,
rivelò anche la vena poetica di Armando quando raccontò, sulle pagine del "Giornale del
Popolo" l'ansia della vigilia, l'approccio alla parete, il bivacco in un anfratto, l'inno dei
chiodi, lo spendere di un universo sino allora soltanto sognato. "Valle di Blenio... - scriveva -
valle del sole... ampie distese di prati e di boschi che fanno da primo piano ad uno sfondo di
vette nevose; nel grande gioco di luci una parete oscura: la parete est del Sosto (...) Da
treni 'anni parecchi rocciatori l'hanno tentata, alcuni conosciuti, altri no, tutti ritornarono
vinti, la parete si difendeva, e il suo fascino aumentava; i pochi chiodi infissi nel suo corpo
l'avevano appena solleticata". E così conclude, descrivendo la conquista: "... Vaga lo sguardo
nel bianco cielo, chiudo gli occhi e tutta la sua luce rimane prigioniera in me; in quella luce
c'è una realtà inebriante: una chimera è diventata realtà! Giace sotto di noi (riferendosi
anche all'amico Frusetta, ndr.) l'immane erta parete; nemica per la battaglia che con lei
abbiamo ingaggiato; amica perchè l'abbiamo accarezzata con le nostre mani frementi (...).
Rileggendo quel capitolo si prova una forte emozione. Al caro Armando volevano tutti bene;
a sant'Antonino, a Indemini (suo villaggipo d'origine) e negli ambienti che lui frequentava, il
vuoto che ha lasciato è immenso e la mestizia durerà nel tempo. Partecipiamo commossi al
lutto dei suoi cari, in particlare dei figli: Giordano, Enea e Dafne; delle sorelle Aurora, Anna e
Angela; della cognata Gemma con le rispettive famiglie, e deponiamo sulla tomba dell'Estinto
il fiore reciso del ricordo.
Diego Invernizzi

Nessun commento:

Posta un commento