Direttore, perché la provincia di Varese è così colpita dalla seconda ondata?
«I numeri del contagio sono alti e continuano ad aumentare progressivamente, è vero. Le spiegazioni sono molteplici: durante la prima ondata, il nostro territorio è stato meno colpito rispetto ad altri e quindi il numero di persone potenzialmente immuni è più basso. Poi può essere rilevante la vicinanza alla Svizzera: sono diversi i lavoratori frontalieri che si sono infettati. Ancora, molti residenti nella provincia di Varese lavorano a Milano, che è la città al momento più colpita in Italia. A questi tre fattori, si aggiungono gli elementi comuni a tutta l’Europa: i viaggi estivi, la riapertura delle scuole e delle attività lavorative».Ritiene sufficienti le misure contenute nel Dpcm del 24 ottobre?
«Quando vengono presi dei provvedimenti in queste situazioni noi medici siamo abituati a valutarne gli effetti nei giorni successivi, non a ridosso. Ad almeno sette giorni inizieremo a vedere gli esiti delle restrizioni sulla diffusione del virus, a 14 giorni li vedremo bene. Ma se tra una settimana non ci sarà alcun segno di deflessione del contagio, i provvedimenti saranno da rivedere. Io faccio il medico, e non il politico: quando limiti la libertà dei cittadini devi tenere conto anche di altre variabili, non solo quelle sanitarie. Detto ciò, se chi ha preso quelle decisioni crede che possano funzionare, noi siamo qui per vedere gli effetti. Ma se non li vedremo, se il Dpcm non porterà un beneficio consistente, bisogna certamente avere il coraggio di prendere decisioni più dure».
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