Il benessere comincia dai piedi. Magari anche, ma non è certo. Comunque lo affermavano le nostre nonne consigliando di portare buone calze, in genere scaturite dai loro uncinetti, e scarpe comode. A quel loro modo di dire e di pensare sembra ispirarsi anche il nostro esercito. Lo ha annunciato lo stesso ministro della Difesa, Ueli Maurer, suscitando la curiosità anche dei media internazionali: i nostri soldati, entro il 2013, saranno dotati di calze «ideali», cioè in grado di quasi vezzeggiare i loro piedi. Quindi non solo confortevoli da indossare, ma ad assorbimento quasi fisiologico del sudore durante le marce, minore attrito con le scarpe e quindi l'eliminazione delle vescicole, comunemente definite «fiacche»; e poi un materiale fatto di fibre in grado di evitare le micosi o microfunghi parassiti. Il compito di mettere a punto questo pedalino «ideale» è stato affidato al Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca (Empa). Decine di reclute della caserma di Aarau le stanno provando o, se preferite, testando. La benemerita pensata riguardante i nostri soldati ha stuzzicato esperti in moda, costume, tradizione, sanità e altro a considerare il ruolo modesto quanto importante che svolgono i calzini nella vita d'ogni uomo: professionale, di carriera, ma anche, pare, di attrazione e di complemento romantico o di conquista nell'approccio con le donne. Pertanto si tratta di considerazioni riguardanti soltanto l'uomo, le calze femminili sono altrettanto importanti ma sono altra cosa e abbracciano un orizzonte di creatività ed emotività ben più ampio. Quello che rende belle le loro calze è un paio di belle gambe dentro. Per quanto riguarda le calze maschili, perfino la cancelliera tedesca Angela Merkel ha recentemente consigliato ai designer del tessile germanici di dare un tocco di ottimismo all'economia con calzini maschili di maggior fantasia, come quelli italiani. Si è però dimenticata di aggiungere di non farne comunque un quasi imperativo di classe e scelta di socialità, di distinzione e finanche di intelligenza: cosa che accade (unici al mondo) proprio ai nostri amici confinanti, per i quali i santoni, le ispiratrici, i guru e le profetesse della moda o del look (ma non solo) giudicano un uomo dai suoi pedalini. Quelli corti, i più portati dai maschi tedeschi, inglesi, americani, scandinavi, dei Paesi dell'est e anche da molti uomini svizzeri, sono ritenuti dai maître à penser della moda italica un obbrobrio, una quasi indecenza e mancanza di civiltà. Lina Sotis, la portavoce italiana del bon ton dei salotti chic italiani è categorica: no in tutte le occasioni ai calzini corti, perché possono rovinare carriere, amori e introduzioni sociali. Tempo addietro in un salotto televisivo romano, durante una trasmissione incentrata sulla giustizia, venne mostrata una fotografia di Dürrenmatt con visibili calzini corti: pur ignorando tutto dello scrittore svizzero, autore fra l'altro di «Giustizia», gran bel romanzo, alcune delle solite signore da comparsata, ignorando il tema di fondo si scandalizzarono quasi che un uomo di cultura portasse pedalini del genere. D'accordo: il calzino corto non è il massimo dell'eleganza e può anche risultare visivamente urticante quando al di sopra dello striminzito pedalino mostra palmi di pelle cadaverica su gambe rinsecchite o di pelle rosso-apoplessia su gamboni a prosciutto. Ma di lì a farne un caso socio-estetico-culturale ce ne corre. Eppure per l'Italia pare che il calzino sia il vero simbolo dell'uomo di rispetto. Lo ha ribadito il caso affiorato nell'ottobre scorso, nell'ambito del sempiterno confronto destra-sinistra, che ha coinvolto un giudice, definito un «mezzacalzetta» dai suoi oppositori, perché fotografato a sua insaputa su una panchina mentre ignaro sgranocchiava un panino, con ai piedi dei calzini corti color turchese. Come dire: la mania da look può anche raggiungere picchi di scemenza pura. Senza dimenticare che le calze sono come le corna: tutti nella vita ne hanno almeno un paio.
Eros Costantini CdT
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