Fusioni comunali a vantaggio di chi?
Dieci anni d'applicazione della legge sulle aggregazioni e separazioni dei Comuni (LAggr) hanno sferrato un grave colpo alla loro autonomia. Con la cosiddetta votazione consultiva, senza effetto decisionale, questa legge mal studiata in ben sei casi (Sala Capriasca, Dongio, Aquila, Bignasco, Muggio, San Nazzaro) ha permesso di fusionare un Comune contro la volontà della sua cittadinanza. Con ciò il Ticino conquista in campo nazionale un triste record antidemocratico che si addice più ad una dittatura che non ad una democrazia diretta.
Come se ciò non bastasse il Governo ticinese ha appena presentato un progetto di revisione della LAggr che rincara la dose: si vogliono creare infatti nuovi strumenti per forzare ed accelerare il processo di centralizzazione del potere, giungendo al punto di penalizzare i Comuni (ancora autonomi) con dei veri e propri ricatti. Se non accettano di prender parte a processi aggregativi imposti dall'alto, si sospendono i contributi di livellamento, creati, ironia della sorte, proprio per sostenere i Comuni meno privilegiati.
Da notare che già oggi una propaganda senza precedenti esercita pressioni per le fusioni: con slogan nulla dicenti quali «Comuni più progettuali», «bisogna avere il coraggio di cambiare, ci vuole fiducia reciproca» e forzando una pseudoconcorrenza tra regioni (Sopra e Sottoceneri) e tra i Comuni stessi (forte, debole, buono, reticente), si crea un clima artificiale, quasi isterico, che provoca un attivismo controproducente caratterizzato dalla paura di perdere il treno. Così molti Comuni si chiedono «con chi mi unisco?» e non per esempio «come posso migliorare la qualità di vita degli abitanti o conquistarli per un impegno civico nel Comune?» o ancora «in quali ambiti conviene collaborare con altri Comuni?».
Questa fretta è voluta perché esistono ben pochi argomenti veramente fondati in favore della ristrutturazione dei Comuni in grande stile prevista.
La qualità di vita di una comunità è direttamente proporzionale alle possibilità dei cittadini di partecipare alla sua gestione. Le nostre strutture di piccole dimensioni con un alto grado di decentralizzazione e di autonomia garantiscono questa partecipazione in modo esemplare.
Lo dimostrano anche le ricerche del prof. Bruno Frey dell'Università di San Gallo. A che pro centralizzare?
Forse per garantire maggiore influenza, potere e prestigio a gruppi d'interesse o a singoli attori della politica? O per assicurare un «cadreghino» più vantaggioso in città, nel Cantone, nella Confederazione o perfino a Bruxelles ai nostri politici?
Sappiamo che «troppa» autonomia è un ostacolo sulla via dell'adesione all'UE. La tendenza a grandezza, centralizzazione e uniformazione non è un fenomeno isolato ticinese, ma rispecchia una realtà del colosso UE che ci circonda e che volentieri ci incorporerebbe. L'ideologia della globalizzazione economica e politica degrada sempre di più il cittadino che non ha niente da dire, al ruolo di puro consumatore di merci e di servizi.
L'attuale revisione della LAggr è un passo in questa direzione. Noi invece vogliamo rafforzare l'autonomia dei Comuni e preservare la decentralizzazione, cosa che possiamo fare prendendoci a cuore e mostrando un maggiore interesse per la gestione della cosa pubblica.
Care cittadine, cari cittadini, non diamo retta alla propaganda e alla premura che ci viene suggerita e battiamoci, se necessario a tempo debito anche con un referendum, contro un ulteriore smontaggio della democrazia.
DA CdT
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