domenica 12 luglio 2009

Le campane tacciono .

Tutto il mondo é paese
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da il caffe

Le campane tacciono e i minareti vocianoDario Robbiani
“Ul Luis” era emigrato nella Svizzera interna. Era rincasato comunista. Gli piaceva “bandiera rossa” ma anche “il rosso merlot”.
Si mostrava in paese verso la fine del mese, quando incassava l’Avs.
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Passata mezzanotte, quando lo sbattevano fuori dall’osteria, davanti a casa, nel nucleo, teneva un comizio. Parlava ad alta voce come se ci fosse la folla ad ascoltarlo. In effetti solo qualche tiratardi e gli asmatici che lasciavano aperto le finestre e gli gridavano “mocala”.
Io origliavo perché mi divertiva. Era un filosofo paesano, un contadino con le scarpe grosse e il cervello fine. Inoltre mi prendeva sovente a partito.
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Il suo idolo era Pietro Monetti, il Lenin momò, fondatore del partito comunista, messo al bando dalla miopia della polizia politica e rinato quale partito del lavoro.
Per il compagno Luis ero un servo del capitalismo. Non m’insultava, mi trattava con rispetto umano. Quando lo incontravo, sobrio, alle riunioni delle sezione, che frequentava poiché credeva nell’unità della sinistra, mi sedeva accanto commentando i vari interventi.
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Una sera che, nel totale disinteresse si discuteva in politichese, mi raccontò dei borghesi che si fanno la villa in campagna poi costruiscono una siepe come il muro di Berlino. Si isolano, non frequentano il paese. Potevano rimanere in città negli appartamenti anonimi.
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Amano la campagna ma sono infastiditi dalle zanzare, dalle mosche e dalle formiche. Imprecano contro le vespe e i ragni. Insultano le rondini che vestendo il frac sporcano come straccioni che fanno i loro bisogni sul marciapiede. Impalerebbero la civetta menagramo. Non sopportano l’odore del letame sparso sui prati e nei campi con la bonza.
“Ma è il profumo della campagna “ diceva Luis.
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Hanno il puzzo sotto il naso. “Non sopportano il chichirichì del gallo. Gli tirerebbero il collo. Ma il gallo suona la sveglia e la ritirata. È sempre stato il trombettiere del villaggio. Solo sotto le feste sta zitto, non si fa sentire, e sa perché, avendo annusato odor di rosmarino”.
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“E se la prendono anche con le campane “sbottava ul Luis., precisando: “Non sono un baciapile. Vado in chiesa solo per la festa del patrono, anzi, rimango sul sagrato, ma le campane le ha nel cuore. Un tempo s’incominciava a lavorare con il il mattutino. La pausa di mezzogiorno era segnalata dal campanile. La campana accompagnava i decessi e le nascite. Suonata a mano, tirando le corde o picchiando sulla tastiera. La campana e il battaglio, suonassero a festa o morte, sono l’anima del villaggio”.
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Non sragionava: i ritocchi cadenzati o le scampanate hanno sempre marcato il ritmo di vita della comunità rurale.
Purtroppo i campanari sono scomparsi. Pochi sanno suonare l’avemaria picchiando con i pugni sulla tastiera o tirando il battaglio con le corde.
Da bambini il divertimento era farsi tirar su attaccati alla corda del capannone o suonare l’avemaria, come ha raccontato Gualtiero Gualtieri, la voce amica di radio notte, in un delizioso lessico familiare.
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Manteniamo campanili e campane, eviteremo d’essere soppiantati dai minareti e dal muezzin urlante.

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