mercoledì 14 aprile 2010

Cocquio Trevisago



Mani mozzate, quando il caso aiuta i detective
Il coltello trovato perché si è rotto il coperchio di un bidone, i mozziconi riconosciuti perché una donna ne aveva sentito parlare al telegiornale. Gli inquirenti giocano a tutto a campo
Che fortuna, avrà pensato qualcuno, leggendo dell’arma del delitto spuntata dal nulla dopo quasi 6 mesi. Attenzione però. L’indagine sull’omicidio Molinari è probabilmente la più grande inchiesta - come mezzi e persone utilizzate – che abbia mai condotto la questura di Varese. L’arresto di Giuseppe Piccolomo, accusato di aver ucciso Carla Molinari, è stato anche segnato da casualità, trasformate in indizi dalla prontezza di cittadini e dalla perseveranza degli inquirenti. Eccole.

Il vicino di casa e l’immondizia
Il ritrovamento del coltello che gli inquirenti ritengono essere l’arma del delitto di Carla Molinari apre nuovi scenari nell’inchiesta sulla morte della donna, culminata con il macabro rituale della mani tagliate. Ma prima di poter dire se questa è davvero la prova decisiva occorre aspettare le analisi scientifiche. Resta il fatto che è stato trovato perché si è rotto il coperchio di quei bidoni, in quel condimonio di via Dante, a 30 metri da casa Molinari. Certo, si fosse rotto prima, sarebbe stato anche meglio, ma la sorte ha regole tutte sue.

La feritoia.
Secondo il pm Luca Petrucci c’è la fondata speranza che nella crepa del manico, una piccola feritoia di circa 7 centimetri, si siano sedimentate delle molecole di sangue che possano aver resistito alle intemperie e gli agenti batterici, dopo 5 mesi all’aria aperta sotto quel cassonetto di via Dante. E’ questa la speranza degli inquirenti, che tuttavia ritengono l’arma un indizio importante anche perché è compatibile sia con la disarticolazione delle mani sia con le ferite; e in particolare con quella che ha reciso il polmone provocando l’asfissia: la coltellata mortale.

La feritoria 2
Il riconoscimento del coltello è dovuto proprio da quel taglio nel manico, una piccola crepa, ed è grazie a questo particolare che le figlie di Piccolomo affermano di aver riconosciuto l’oggetto.

L’attaccamento al coltello
Secondo gli inquirenti Piccolomo ama i coltelli, ne aveva anche in casa, e ne portava uno in auto la notte in cui morì la moglie Marisa Maldera in un misterioso incendio della vettura a Caravate. Ipotesi: l’avrebbe nascosto vicino a casa di Carla invece di liberarsene forse perché voleva tornare a riprenderlo. Ne era affezionato?

La testimone dei mozziconi
Sono la prima grande coincidenza. Una donna vede un uomo che prende dei mozziconi da un posacenere e li mette in un sacchetto. Non l’avrebbe mai ricordato se non avesse appreso un’indiscrezione della stampa: nella casa del delitto l’assassino aveva posizionato 4 mozziconi per depistare. La scena si svolge la mattina dell’omicidio, al bar Bistrot di Cocquio Trevisago; la testimone avvisa i carabinieri che fanno pervenire l’informativa in procura. La prova del dna fa coincidere un mozzicone con un frequentatore di quel bar.

Il panettiere vicino di Carla
Questo è un particolare che non compare nell’incheista, ma che è interessante. Il panettiere che ha un laboratorio di fronte alla villetta di Carla Molinari ha raccontato a Varesenews che, qualche mese prima, Piccolomo aveva cercato lavoro da lui. E’ solo un caso? Varesenews

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