DALLA FILOLOGIA ALL’IMPEGNO POLITICO, PER 40 ANNI UOMO DI SCUOLA
DI ELENA LOCATELLI
Da quattro anni Aurelio Sargenti è felicemente al beneficio della pensione, ma non si direbbe. Ha colto questa fase della sua vita come una nuova opportunità per tornare a dedicarsi ai suoi interessi di sempre: la filologia e la scrittura (che in realtà non aveva mai abbandonato),
l’im- pegno politico a favore della collettività, le camminate, i viaggi (rinunciando preferi- bilmente all’aereo, di cui ha il terrore), le uscite sul lago Maggiore in barca, con la fortuna di essere ancora in ottime condi- zioni di salute.Aurelio Sargenti si è rimesso in gioco su diversi fronti, condividendo interessi e passioni con nuove persone; ha ripreso con molta energia e piacere gli studi sugli autori della letteratura dialettale milane- se: Carlo Porta, Alessandro Manzoni, De- lio Tessa e Tommaso Grossi, del quale ha curato l’edizione critica delle Poesie mila- nesi e il Carteggio.
Sono in corso di stampa altre due opere da lui curate: il Carteggio di Luisa Blondel d’Azeglio per il Centro Nazionale Studi Manzoniani di Milano e, con William Spaggiari, il volume Alessandro Manzoni e la Svizzera italiana, Giampiero Casagran- de editore, Lugano.
Nato a Locarno e vissuto a Magadino, Aurelio Sargenti ha trascorso tutta l’infanzia e l’adolescenza nel Gambarogno, regione a cui è tuttora molto legato e nella quale fa spesso ritorno per visitare parenti e amici. Cresciuto in una famiglia di tradizioni li- berali, ha compiuto gli studi universitari
a Pavia negli anni 1974-1980, che han- no conosciuto la sua fase più violenta dal 1974 in poi, culminata nell’assassinio di Aldo Moro nel 1978. È in questi anni, caratterizzati da diverse lotte sociali e da battaglie civili, che Aurelio Sargenti si è avvicinato all’ideologia di sinistra indenti- ficandosi successivamente nel PSA (qua- le membro della Direzione e del comitato cantonale) e poi nel PSU, diventando per dieci anni (1982-1992) responsabile del- le pagine culturali del periodico «Politica Nuova».
Dopo la laurea in filologia italiana all’Università di Pavia , ha conseguito nel 2004 il dottorato di ricerca in lingua, letteratura e civilizzazione italiane all’Università di Ginevra.
Nel 1980 si è trasferito a Lugano come docente di lingua e letteratura italiana in istituti medio e medio-superiori (Gra- vesano e Lugano), ben felice di essere geograficamente più vicino al capoluogo lombardo, da sempre centro dei suoi inte- ressi filologici per la sua ricerca letteraria, soprattutto ottocentesca.
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Dal 2021 è anche tornato alla politica at- tiva con l’elezione nel Consiglio comunale di Lugano per il PS.
In che contesto è cresciuto Aurelio Sargenti? Ci racconti delle sue origini famigliari... Sono cresciuto in un paese, Magadino, in cui stare in piazza era come stare in casa. Ho vissuto una infanzia felice, tra monti («Campei»), lago e Bolle. Imparai presto a nuotare e a pattinare: le Bolle, che al- lora non erano ancora un’area protetta, d’estate erano da noi ragazzi percorse in lungo e in largo con le barche e d’inverno diventavano luoghi di interminabili parti- te di disco su ghiaccio, anche fino alle 21 con la luna piena. Sono cresciuto in una
famiglia normale, ma con l’handicap di un padre sindaco, carica che frenava le mie scorribande con gli amici nei castagneti, frutteti e pollai altrui: erano gli anni in cui la triade sindaco, maestro e parroco con- tava molto. Sì, posso dire di aver ricevuto una buona e giusta (e a volte rigorosa) educazione e tanto affetto, anche se i no- stri genitori non lo manifestavano per quel naturale pudore che era tipico di quell’e- poca. L’educazione veniva impartita a noi bambini anche da altre madri, con tirate d’orecchie, specie quando giocavamo in piazza. C’era, insomma, un controllo so- ciale che dava serenità al paese.
Lei ha conseguito la laurea in filologia italiana all’Università di Pavia con Dante Isella, filologo e critico letterario di gran- de fama, che lei considera suo «maestro». Quanto e in cosa l’ha influenzata la fre- quentazione di questo studioso della gran- de letteratura lombarda antica e moderna? Le lezioni di Dante Isella erano affasci- nanti; Isella, allievo di Gianfranco Con- tini, fu un maestro della filologia d’autore e dell’italianistica. A Pavia, dove insegnò letteratura italiana dal 1967 al 1977, Isella (con Cesare Segre, Maria Corti e Cesare Bozzetti) diede vita a una scuola filologica che fu un punto di riferimen- to per la riflessione e la metodologia. Ricordo le sue bellissime lezioni su Porta, Manzoni, Parini, Maggi e i seminari sui Promessi sposi condotti, di sabato, alla Bi- blioteca Braidense di Milano. Per me fu del tutto naturale chiedergli di essere re- latore della mia tesi: mi propose l’edizione critica delle poesie milanesi di Tommaso Grossi, poi pubblicata da Scheiwiller nel 1988 (Nuova edizione accresciuta, No- vara, Interlinea edizioni, 2008). Avevo già visto Isella in Ticino, in quanto amico di Romano Broggini, mio professore al liceo economico-sociale di Bellinzona e all’ori- gine del mio cambiamento di indirizzo di studi (da diritto a lettere) e dell’iscrizione mia e di altri miei due amici, i fratelli Dan- zi, all’Università di Pavia (eravamo i primi allievi ticinesi; altri sarebbero giunti negli anni successivi).
Dal 2011 al 2019 lei è stato direttore del Liceo cantonale Lugano 2 e docente di ita- liano. Cosa si porta dietro da questa espe- rienza alla guida dell’istituto luganese? Tante cose, non tutte felici (ho capito presto cosa è la «famosa» solitudine del direttore). Essere a stretto contatto con i giovani per così molti anni è stata una bellissima opportunità. Ciò che ricordo con particolare piacere è il mio rapporto con gli studenti, in particolare con i vari comitati succedutisi negli anni: un rap- porto improntato su franchezza e rispetto dei ruoli. Fino al termine dell’adolescen- za, le ragazze e i ragazzi si attengono ge- neralmente ai principi di integrità mora- le, di giustizia e rettitudine. Quando sba- gliano, sanno riconoscere i loro errori e assumersene le responsabilità. Cosa che a noi adulti spesso riesce difficile. I giova- ni non sono ancora contaminati dal virus dell’egoismo, dell’intolleranza, dell’utili- tarismo che caratterizza il mondo degli adulti.
Durante i suoi anni di direzione al Liceo Lu- gano 2 lei ha voluto portare la cultura den- tro la scuola, promuovendo conferenze, in- contri affinché gli studenti potessero aprire
le loro menti e fornendo loro molti spunti di approfondimento. La biblioteca di questo liceo è notoriamente il cuore dell’istituto. Sono ricettivi gli allievi, nonostante la dif- fusione pervasiva di internet e dei social? Con i miei colleghi di direzione ho cercato di far capire agli studenti e al territorio che ospita il Liceo Lugano 2, che l’istitu- to scolastico è un luogo di cultura e non solo un’agenzia formativa dispensatrice di diplomi e di parole d’ordine verso un fu- turo professionale ben definito e possibil- mente ben remunerato. Un luogo (come disse Michel Smadja) dove si impari a «diventare un cittadino», cioè una perso- na che non vuole agire solo per il proprio interesse, ma che vuole elevarsi al di sopra dell’immediatezza e del facile soddisfaci- mento di ogni pulsione. Gli studenti, con l’introduzione dell’insegnamento dell’in- formatica, devono comprendere i concet- ti fondamentali di questa disciplina: essa deve essere intesa come scienza e non come l’uso acritico della tecnologia. Stes- sa cosa vale per i social.
Dal 2021 lei siede tra i banchi del Consiglio comunale di Lugano per il PS. A 23 anni era già attivo politicamente nel CC di Maga- dino. È stato consigliere comunale di Pre- gassona (pre-aggregazione), membro della Direzione e del Comitato cantonale del PSA e poi del PSU; membro del Comitato canto- nale del PS e segretario della Sezione PS di Lugano. Dove nasce questo suo interesse per la politica?
Dall’amore per il mio Paese e per il prossi- mo; dalla fortuna di saper leggere, scrivere e (un po’) far di conto e dalla consapevo- lezza che valori come solidarietà, giustizia sociale e rispetto sono importanti e quindi vanno difesi. Credo che sia un dovere di ogni cittadino e cittadina spendere un po’ del proprio tempo per la collettività. Ogni nostra azione è una azione politica: per- ché dunque delegare ad altri il compito di interessarsi ai problemi di tutti, cercando di risolverli nel modo migliore, quando lo puoi fare anche tu?
Con gli Allievi A del Gambarogno. Aurelio Sargenti, giovane talento, ha spesso accompagnato la prima squadra giocando qualche partita in Prima Divisione e in Divisione nazionale B fino a metà degli anni 1970.
2 Con la moglie Christine e i due figli in una recente immagine.
3 Con il professor Dante Isella,suo maestro capace di insegnargli gli strumenti del lavoro filologico, introducendolo soprattutto nello studio della letteratura dialettale lombarda.
4 Al Liceo Lugano 2, con il professor Gilberto Lonardi, critico letterario e professore di letteratura italiana che ha avvicinato la grande poesia di Leopardi, Montale e Giorgio Orelli al pubblico di studenti.
Sei sue conferenze tenute al LiLu2 sono state raccolte nel volume
Un naufragio e altre favole (Giampiero Casagrande Editore, 2020), a cura e con introduzione di Aurelio Sargenti.
5 Nel 2019, anno del suo pensionamento quale direttore del Liceo Lugano 2, alla sua ultima cerimonia di consegna dei diplomi di maturità tenutasi al Palamondo di Cadempino.
6 Con Francesco Guccini, conosciuto grazie all’amica Gabriella Fenocchio (insegnante di Lettere in un liceo bolognese), di cui è diventato amico oltre che grande estimatore
da sempre.
7 In sella alla sua inseparabile Vespa rossa PK 125, con cui da 40 anni
si sposta sulle strade del Luganese.
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Lei ha avuto come suoi compagni di partito nel PSA figure storiche come Pietro Mar- tinelli, Werner Carobbio, Carla Agustoni e Giovanni Cansani. Come è cambiato il modo di fare politica con la scomparsa o il ritiro dalla scena di tali personalità?
È cambiato tanto. Dai politici da lei ci- tati ho imparato molto. Per esempio ho imparato una cosa semplice, oggi dimen- ticata: prima di parlare occorre informar- si bene, studiare bene il tema in discus- sione. Oggi la politica è un palcoscenico sul quale esibirsi, un riflettore sotto il quale mettersi per essere ben illuminati. Una volta si lavorava per il partito e per il bene del Paese, oggi spesso si lavora per sé stessi. Come disse Eco, «i social hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel». Oggi per accedere alle cariche politiche non basta essere competenti. Occorre saper apparire.
Come descriverebbe questi anni di sua pre- senza nel CC di Lugano? Si identifica an- cora nel suo partito e nell’impegno per la gestione della cosa pubblica o – come lei scriveva in occasione delle recenti elezio- ni cantonali – sempre più molti utilizzano i partiti solo come specchi in cui ammirare sé stessi?
È stata una esperienza interessante: ho fatto cose, ho conosciuto gente (frase cult di Nanni Moretti). E ho fatto fatica. Ma una cosa è certa: il lavoro importante lo si fa nelle commissioni, dove c’è uno scambio di opinioni franco e a volte si trova un accordo. In generale, ma non è solo un problema nostro, il livello di com- petenza è basso e la preparazione appros- simativa. Purtroppo, rispetto al passato, quando la politica era più semplice, le donne e gli uomini che oggi potrebbero dare un importante contributo scappano lasciando la scena (e i riflettori) ad altre e altri.
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Lei è autore di saggi apparsi in riviste d’ambito otto-novecentesco e in opere col- lettive. Ha pubblicato l’edizione critica e commentata delle Poesie milanesi di Tom- maso Grossi nel 1988, rivista e accresciuta nel 2008 e, dello stesso autore, il Carteggio 1816-1853, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2005. È un esperto di letteratu- ra dialettale milanese, soprattutto dell’Ot- tocento, tanto da avere curato alcune se- zioni di Letteratura dialettale milanese. Autori e testi, antologia coordinata da Sil- via Morgana (Salerno editrice, 2022). Quale il valore e la ricchezza di temi e contenuti di questi autori che hanno fatto un uso let- terario del dialetto milanese?
Quanto spazio mi lascia? Il discorso sa- rebbe lungo, per cui me la cavo ripeten- do le parole di Dante Isella: «La cultura letteraria lombarda non va considerata unicamente sul filo della tradizione illu- stre (quella di Parini, Manzoni, Cattaneo ecc.), trascurando gli scrittori cosiddetti dialettali, quasi che ne costituiscano sol- tanto un paragrafo minore, marginale. È vero invece il contrario: senza la compo- nente dialettale la cultura lombarda ri- sulterebbe irrimediabilmente amputata, sminuita. Perché la linea dialettale non è che una variante stilistica di una cultu- ra unica, omogenea, solidale, quali siano i mezzi espressivi prescelti da ciascuno scrittore in conformità al suo tempera- mento, alla parte assunta nell’attuazione di un programma comune».
Da pochi mesi lei è stato eletto alla presi- denza dell’Associazione Biblioteca Salita dei Frati, impegnata nel promuovere ap- puntamenti culturali ed espositivi che ri- guardano materiale librario pregiato. Quale nuovo indirizzo intende dare all’associa- zione?
Intanto, vorrei ringraziare chi mi ha prece- duto per il grande e prezioso lavoro svol- to. A oltre quarant’anni dalla sua prima apertura al pubblico, la Biblioteca Salita dei Frati si trova oggi a vivere una fase
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decisiva della sua evoluzione. Assieme alle attività che ne contraddistinguono da sempre la sua fama (libro antico, france- scanesimo, cultura religiosa in generale) si prospettano all’orizzonte sviluppi di al- cuni settori affini, come l’archivistica e la storia dell’arte e, in ambiti solo apparen- temente più lontani dal suo patrimonio storico, come la mediazione culturale, la musica, la didattica e persino l’ecologia. Poi nei prossimi anni potremo relazionarci in modo virtuoso con i contenuti sociali e culturali immaginati per gli spazi vecchi e nuovi della Salita dei Frati dalla Fondazio- ne Convento, che dal 2021 è la proprieta- ria dell’intero complesso conventuale
Pochi mesi fa ha percorso il cammino per Compostela (tratto francese) con un grup- po di otto persone. Camminare è un eser- cizio fisico salutare e appaga anche la sua curiosità. Cos’altro le piace fare? Camminare è una buona medicina dell’u-
8-10 Aurelio Sargenti ama molto l’Italia quale meta dei suoi viaggi, ma ha visitato anche diversi altri Paesi, anche se non è riuscito a vincere la paura di volare. Qui è ritratto
a San Pietroburgo, New York e Venezia.
11-12 Le sue passioni: le escursioni a piedi, spesso anche sui Monti del Gambarogno, che offrono splendidi panorami sul lago Maggiore, e le gite in barca con «Yvette», così battezzata dai suoi figli in ricordo di nonna Yvette, mamma di Aurelio Sargenti.
13 Trattori e vita contadina: per Aurelio Sargenti sono un ritorno alle origini, quando da bambino aiutava una famiglia di contadini del Piano di Magadino nei lavori quotidiani, che hanno contribuito a renderlo sensibile alle problematiche ambientali.
14 Con Werner Carobbio e Pietro Martinelli, politici da cui Sargenti ha imparato molto.
15 Foto recente lungo la parte francese del cammino di Santiago di Compostela con un gruppo di amici luganesi, capeggiati dall’arch. Eloisa Vacchini.
more, migliora il pensiero e salvaguarda la salute del cervello. Inoltre permette di ammirare bellissimi paesaggi, come quel- li incontrati lungo il percorso che da Le Puy-en-Velay ci ha portati a Conques, e di incontrare e conoscere persone con cui dialogare. Mi piace fare tante altre cose come correre, giocare a calcio, frequen- tare gli amici, andare a teatro, al cinema. Insomma, cose che fanno in molti
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